La neolingua buonista che erge i rom a vittime

C’ è una neolingua che occorre usare per non essere respinti nel limbo dei disumani. Essa comporta che non si chiamino le cose col loro nome, che le parole si distendano soffici su tutto ciò che disturba il quadretto idilliaco che i buoni, i giusti, i progrediti, intendono avere dinanzi a sé come metafora ispiratrice per commentare la realtà. E quando la realtà ci restituisce qualcosa di ingiusto, di brutto, ecco che subito l’uso della neolingua deve lenire quella ferita per fare in modo che l’opinione pubblica non ne rimanga turbata e non manifesti rabbia. È qualcosa che si situa tra il “follemente corretto” di cui parla Luca Ricolfi e il newspeak di cui scriveva Orwell nel suo 1984. 🔗 Leggi su Liberoquotidiano.it

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