Come ho resuscitato il Chievo Verona intervista a Sergio Pellissier

La mattina di Natale mio figlio Giulio, sei anni in divenire, si è fiondato sotto l’albero, ha esaminato scientemente i pacchi, ha individuato il più importante, l’ha scartato e si è trovato tra le mani un famoso videogioco calcistico per una famosa console. «Lo sapevo», si è limitato a dire. Non erano ancora le sette ed era già in campo. Ovviamente la squadra che aveva scelto di impersonare è la squadra per cui fa il tifo, contingentemente la stessa per cui io faccio il tifo, che magicamente nel videogioco vinceva, mentre spesso, nella realtà, non lo fa.Mi sono chiesto se, a ruoli invertiti, avrei fatto lo stesso (ovviamente sì). E anche se l’ingenuità del tifoso sognatore, di chi nutre una passione così profonda da apparire scioccamente ridicola, che gli anni siano sei o quarantatré suonati, non sia in fondo sempre quella: una sospensione dell’incredulità, l’illusione di una magia intatta.
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