Stretto di Hormuz, rischio chiusura: cosa accade al petrolio e ai mercati globali
La minaccia di chiusura dello Stretto di Hormuz mette in allerta i mercati mondiali, con possibili ripercussioni sul prezzo del petrolio e sull’equilibrio energetico globale. Tra tensioni diplomatiche e strategie militari, la situazione si fa sempre più complessa. Il rischio che questa via strategica venga bloccata potrebbe scatenare una crisi senza precedenti, influenzando non solo l’economia, ma anche la stabilità internazionale. La domanda è: cosa succederà se lo scenario si concretizza?

La possibile chiusura dello Stretto di Hormuz rappresenta uno degli scenari più critici per l’equilibrio energetico globale. Il vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance ha definito l’ipotesi una mossa “suicida” per l’Iran, dopo che il Parlamento iraniano ha rilanciato l’idea in risposta ai recenti raid americani contro obiettivi strategici della Repubblica Islamica.
Secondo il generale Esmail Kowsari, membro della commissione Sicurezza nazionale del Majlis, il Parlamento ha espresso la volontà di chiudere il passaggio, ma la decisione finale spetta al Consiglio supremo di sicurezza nazionale. Le dichiarazioni, riportate dalla rete iraniana Press Tv, si inseriscono in un'escalation crescente tra Iran e Israele.
Lo Stretto di Hormuz è un punto nevralgico per il commercio energetico globale. Situato tra Iran e Oman, collega il Golfo Persico al Golfo di Oman e al Mar Arabico. Da qui transita la maggior parte del petrolio e del gas naturale liquefatto (GNL) esportati da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Iraq, Qatar e dallo stesso Iran.
Nel solo 2024, secondo la U.S. Energy Information Administration, attraverso lo stretto sono passati in media 20 milioni di barili di petrolio al giorno. Inoltre, circa un quinto del commercio globale di GNL, in particolare dal Qatar, vi transita quotidianamente.
L’Agenzia internazionale per l’energia stima che dallo Stretto di Hormuz passi circa il 25% delle forniture globali di petrolio. Una sua chiusura, anche temporanea, avrebbe effetti immediati sui mercati del petrolio e del gas, facendo impennare i prezzi e destabilizzando le economie più esposte alla dipendenza energetica.
Negli ultimi anni, i Guardiani della Rivoluzione iraniani hanno già effettuato sequestri di petroliere nella zona, mentre Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita hanno investito in oleodotti alternativi per ridurre la dipendenza da questo passaggio obbligato.
“La richiesta di chiusura dello Stretto ha già effetti psicologici forti sui mercati”, ha spiegato all’Adnkronos Francesco Sassi, ricercatore in geopolitica dell’energia all’Università di Oslo. “Anche solo la minaccia genera instabilità e pressioni sui consumatori.”
Secondo Sassi, saranno soprattutto i mercati energetici europei e asiatici a risentire di una crisi nello stretto. “Le economie europee, già indebolite dal debito e dalla crescita stagnante, si trovano ora davanti a un nuovo potenziale shock. La diversificazione energetica post-Ucraina rischia di saltare se il Golfo Persico diventa instabile.”
La situazione geopolitica nel Medio Oriente aggiunge quindi ulteriore incertezza a un contesto globale già fragile. “Non è solo la componente economica a preoccupare, ma soprattutto l’instabilità politica, che rende questo frangente estremamente delicato per l’Europa e per l’intero sistema energetico mondiale”, conclude Sassi.