Madre uccide il figlio di 9 anni a Trieste: cosa sappiamo sulla cosiddetta sindrome di Medea
Una donna ha ucciso il figlio di 9 anni tagliandogli la gola nella tarda serata di mercoledì, all’interno dell’abitazione di famiglia a Muggia, in provincia di Trieste. A dare l’allarme è stato il padre, che non riusciva più a mettersi in contatto con la donna. Quando gli agenti della Squadra mobile sono arrivati sul posto, per il bambino non c’era ormai più nulla da fare.
La Polizia è intervenuta intorno alle 22, dopo la segnalazione del padre, un triestino di 58 anni, preoccupato perché la madre — una 55enne di origine ucraina — non aveva riportato il figlio all’orario stabilito, previsto per le 21. La coppia era separata e da anni seguita dai servizi sociali del Comune di Muggia.
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Con il supporto dei Vigili del fuoco, gli agenti sono riusciti a entrare nell’appartamento, trovando il corpo del bambino con profonde ferite da taglio al collo. La madre era presente, in stato di choc, con diversi tagli alle braccia. È stata subito assistita dal personale sanitario e trasportata all’ospedale di Cattinara.
I primi accertamenti della Squadra mobile hanno permesso di ricostruire l’accaduto, attribuendo la responsabilità dell’omicidio alla donna, che avrebbe poi tentato di togliersi la vita. Una volta dimessa, sarà trasferita alla Casa circondariale di Trieste.
Il tragico episodio avvenuto richiama l’attenzione su una dinamica che in psichiatria viene talvolta definita sindrome di Medea. Con questo termine si indica una situazione in cui l’uccisione dei figli viene interpretata come un gesto estremo di vendetta verso il partner, spesso maturato all’interno di un contesto familiare ad alta conflittualità.
Secondo lo psichiatra Claudio Mencacci, co-presidente della Società italiana di neuropsicofarmacologia, si tratta di un quadro “legato a conflitti di coppia intensi o a una separazione vissuta in modo esasperato, dove il figlio diventa, nella mente di chi agisce, lo strumento con cui colpire ciò che l’altro genitore ha di più caro”. Una dinamica che, pur essendo rara, affiora in alcuni casi di cronaca caratterizzati da un forte elemento vendicativo.
Mencacci sottolinea che episodi di questo tipo sono più frequentemente associati a situazioni in cui l’omicidio è seguito dal suicidio della stessa persona che compie il gesto, elemento che al momento non sembra emergere nel caso triestino. Lo specialista evidenzia inoltre che non sono ancora noti eventuali disturbi psicopatologici o ulteriori fattori di rischio che potrebbero aver inciso.
Lo psichiatra ricorda infine che l’omicidio dei figli da parte della madre è, in termini statistici, un evento meno comune rispetto ai casi di violenza intrafamiliare commessi dagli uomini. Quando però accade, è spesso inserito in un contesto di difficoltà di coppia intensa, vissuta in modo distorto e drammatico da chi arriva a compiere un gesto così estremo.