Marina Berlusconi: Le Big Tech vivono in un far west digitale, serve riportare regole e responsabilità

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«C’è un rumore di fondo che attraversa il nostro tempo: guerre, radicalismi, intolleranze, manipolazione digitale. Dentro quel rumore, la libertà e la democrazia sembrano spesso voci isolate, ma sono le uniche che vale la pena continuare ad ascoltare». Così comincia la lettera di Marina Berlusconi, presidente di Fininvest e Mondadori, pubblicata sul Corriere della Sera.

La presidente sottolinea come chi fa informazione e cultura abbia il dovere di sostenere e proteggere quei valori fondamentali. «È anche per questo – spiega – che la Silvio Berlusconi Editore, a un anno dalla nascita, dedica le sue nuove uscite al tema cruciale dei rischi e dei benefici della rivoluzione tecnologica e del suo rapporto con il potere».

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Marina Berlusconi richiama l’attenzione sul dominio economico e culturale dei colossi digitali: «Le prime cinque Big Tech – Nvidia, Microsoft, Apple, Alphabet e Amazon – hanno superato il Pil dell’area euro. Ma ridurre tutto ai valori economici non basta: il loro potere va ben oltre. È un potere che rifiuta le regole, la base di qualsiasi società funzionante».

La presidente di Fininvest denuncia una concorrenza sleale: «Noi editori tradizionali rispettiamo le leggi, paghiamo le tasse, tuteliamo il diritto d’autore e i posti di lavoro. Le piattaforme digitali, invece, impiegano una minima parte dei lavoratori del settore e assorbono quasi due terzi del mercato pubblicitario globale». Citando l’ex dirigente Meta Sarah Wynn-Williams, aggiunge: «Sono Careless People, gente che se ne frega».

In questo contesto, Marina Berlusconi accoglie con favore il Digital Package dell’Unione Europea, approvato tra il 2016 e il 2024 per proteggere gli utenti: «Trump lo considera un ostacolo, ma è uno strumento essenziale per garantire un mercato davvero libero, fondato su regole giuste. Mi auguro che la Commissione non indietreggi, anche di fronte all’enorme influenza culturale dei giganti del web. Non è più un problema degli editori, riguarda tutti».

La lettera denuncia anche il far west digitale in cui operano le piattaforme: «A differenza dei media tradizionali, prosperano in un ambiente dove nessuno risponde di ciò che pubblica. Contano solo i clic. Da qui nascono fake news, linguaggio d’odio e polarizzazione, che soffocano il dialogo e alimentano l’intolleranza».

Marina Berlusconi evidenzia poi il legame tra politica e Big Tech negli Stati Uniti: «Questi colossi non sono più solo aziende private, ma attori politici. A differenza dei politici di mestiere, restano sempre al loro posto. Sono passati dal wokismo al trumpismo con la disinvoltura di un cambio di felpa. Intanto, libertà e democrazia rischiano di essere stritolate dagli estremi».

Per la presidente, il problema non si risolve opponendosi al progresso: «Come dice Ellul, non possiamo più separare l’essere umano dagli strumenti. La rivoluzione digitale è ormai parte della nostra vita e ha portato enormi benefici, ma abbiamo accettato di scambiare le sue comodità con i nostri dati, spesso ignorando le conseguenze».

Di fronte a queste derive, Berlusconi lancia una riflessione: «I regolatori devono imporre norme eque, la politica deve impedire concentrazioni di potere. E noi editori? Non possiamo fare miracoli, ma possiamo aiutare a capire dove corre il treno del digitale e dove i binari diventano pericolosi».

Chiude con una provocazione: «Nell’era del “Muoviti veloce e rompi tutto” di Zuckerberg, forse è tempo di riscoprire la forza lenta ma costruttiva dei libri. Da sempre anticorpi contro barbarie e totalitarismi, oggi sono anche strumenti di resistenza contro l’omologazione digitale e l’assottigliamento del pensiero imposto dagli smartphone».