Intelligenza artificiale e Parkinson: l'Italia sviluppa un algoritmo che prevede l'evoluzione della malattia
L'Italia fa un passo avanti nella lotta al Parkinson con un innovativo algoritmo di intelligenza artificiale capace di prevedere in tempo reale l'evoluzione della malattia analizzando l’attività cerebrale dei pazienti. Sviluppato al Centro Parkinson dell’Asst Gaetano Pini-Cto di Milano e pubblicato su Npj Parkinson’s Disease, questo straordinario progresso apre la strada a diagnosi più precoci e terapie personalizzate, offrendo nuove speranze a milioni di persone.

Prevedere l’evoluzione della malattia di Parkinson analizzando in tempo reale l’attività cerebrale dei pazienti è oggi possibile grazie a un innovativo algoritmo di intelligenza artificiale sviluppato al Centro Parkinson dell’Asst Gaetano Pini-Cto di Milano. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Npj Parkinson’s Disease (gruppo Nature), apre la strada a trattamenti personalizzati e tempestivi, basati sul monitoraggio continuo dei pazienti sottoposti a stimolazione cerebrale profonda (Deep Brain Stimulation, DBS).
Il nuovo sistema è in grado di anticipare di circa una settimana l’andamento clinico dei pazienti, consentendo agli specialisti di modificare la terapia di neuromodulazione in modo mirato. “Possiamo ora leggere nel futuro della malattia e intervenire prima che i sintomi peggiorino”, spiega Ioannis U. Isaias, direttore del Centro Parkinson e parkinsonismi del Pini-Cto e responsabile dello studio, condotto insieme ad Alberto Mazzoni dell’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
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“Questo lavoro rappresenta la sintesi tra ricerca ingegneristica e applicazione clinica. Sono orgoglioso del risultato, anche perché i principali autori, il dottor Salvatore Falciglia e la dottoressa Laura Caffi, sono giovani dottorandi del nostro istituto, coinvolti in un progetto internazionale”, ha aggiunto Mazzoni. Il progetto è realizzato in collaborazione con l’Università di Würzburg e supportato dalla Fondazione Pezzoli per la malattia di Parkinson, partner attivo nelle attività del Centro Parkinson del Pini-Cto.
I pazienti inclusi nello studio sono stati sottoposti a un intervento neurochirurgico per l’impianto di un nuovo stimolatore sperimentale, realizzato dall’équipe del dottor Marco Locatelli al Policlinico di Milano. Il Centro Pini-Cto ha avviato una rete di collaborazioni con strutture lombarde come l’Asst Santi Paolo e Carlo e l’Irccs San Gerardo di Monza, per gestire l’elevata richiesta di interventi: oltre 7.000 pazienti trattati all’anno, con più di 1.500 nuovi accessi.
La stimolazione cerebrale profonda è una tecnica neurochirurgica che prevede l’inserimento di elettrodi in specifiche aree del cervello, come il nucleo subtalamico o il globo pallido interno. “Un posizionamento preciso degli elettrodi è essenziale per il successo del trattamento”, sottolinea Salvatore Bonvegna, responsabile dell’Ambulatorio di Neuromodulazione del Centro. Gli elettrodi sono collegati a un pacemaker sottocutaneo che regola gli impulsi elettrici inviati al cervello.
La novità dello studio riguarda l’adozione di una stimolazione adattativa, in cui l’intensità dell’impulso elettrico viene modulata in tempo reale in base all’attività cerebrale, rilevata come marcatore dei sintomi. Rispetto alla stimolazione tradizionale a parametri fissi, questa nuova modalità risulta più efficace e personalizzata: oltre l’80% dei pazienti la preferisce, secondo l’esperienza del centro milanese.
Il sistema sviluppato rappresenta un ulteriore passo avanti verso neuroprotesi intelligenti, in grado di programmarsi autonomamente per anticipare i bisogni del paziente. “Grazie all’intelligenza artificiale, puntiamo a migliorare la qualità della vita e, in prospettiva, a ottenere un recupero funzionale completo”, dichiarano i ricercatori.
“In Italia la stimolazione cerebrale profonda è ancora poco diffusa, nonostante il potenziale terapeutico”, afferma Paola Lattuada, direttore generale dell’Asst Gaetano Pini-Cto. “Su circa 2.000 pazienti che potrebbero beneficiarne ogni anno, solo 300 vengono operati. Servono maggiori risorse e una rete multidisciplinare per garantire il successo del trattamento.”