Emil Ruusuvuori: Pensavo di essere impazzito. La confessione choc tra panico, incubi e silenzi nel tennis

Emil Ruusuvuori rompe il silenzio e racconta per la prima volta il lato oscuro della sua carriera da tennista professionista. In un’intervista ai canali ufficiali dell’ATP, il finlandese ha rivelato di aver vissuto un periodo drammatico, segnato da attacchi di panico, insonnia e angoscia mentale. “Tre anni fa a Miami ebbi il primo vero attacco di panico. Non riuscivo a respirare, la mia mente era impazzita”, ha spiegato il giocatore, oggi fuori dalla top 30 del ranking mondiale.
“Contro Sinner la gente non sapeva nulla”
Pochi giorni dopo quell’episodio, Ruusuvuori affrontò Jannik Sinner portandolo al terzo set. “Ma nessuno poteva sapere cosa stavo vivendo davvero”, ha confessato. Poco tempo dopo, a Montreal, si ritirò dal torneo parlando di un virus intestinale, ma in realtà smise di toccare la racchetta per oltre quattro mesi.
“Al Roland Garros ho capito che si stava andando troppo oltre. Quello che succedeva nella mia testa ha cominciato a influenzare la mia vita fuori dal campo. Dormivo male, avevo incubi, mi svegliavo sudato e con il cuore a mille. Pensavo di essere impazzito. In campo ero un corpo presente, ma la testa non c’era”, ha continuato.
Il crollo durante Wimbledon: “Non avevo più controllo”
Anche il tentativo di pausa non è servito. “Mi presi una o due settimane prima di andare a Surbiton, ma ebbi un attacco di panico in campo. Nemmeno ricordo quella partita. Durante Wimbledon dovevo accostare l’auto, scendere e respirare: mi sembrava di poter svenire da un momento all’altro. Ero arrivato al terzo turno, ma mentalmente ero già crollato contro Mpetshi Perricard. Volevo solo scappare dal campo”.
“Non trovavo più gioia in niente”
Il tennista ha ammesso di aver toccato il fondo: “Negli ultimi dieci anni la mia vita è stata tutta tennis. Ma a un certo punto non c’era più nulla. Non trovavo più gioia in niente. Non stavo più giocando, stavo lottando per alzarmi dal letto. Mi sono anche chiesto se volessi continuare a vivere”.
“Ho realizzato il mio sogno, ma pensavo che farlo significasse continuare a tutti i costi. Parlare dei miei problemi mentali mi sembrava una debolezza. Nello sport non doveva esistere la vulnerabilità. Ma oggi ho capito che chiedere aiuto è fondamentale. Se la mia storia potrà aiutare anche solo una persona, allora ne sarà
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