Il putinismo di Conte è sempre più grottesco e Schlein non può più dargli corda

Il putinismo di Conte si fa sempre più surreale, mentre Schlein sembra affaticarsi a mantenere un dialogo costruttivo. Le incertezze sulle trattative con Putin evidenziano un panorama politico contorto, in cui emerge la necessità di un approccio critico e incisivo. Le parole di Conte, lontane dalla realtà, richiedono un’analisi attenta e disincantata.

«A parte che il negoziato lo fai anche se non in presenza, io adesso non so se Putin andrà o non andrà, se si è sentito convocato e non accetta, ovviamente, essendo vittorioso sul campo, la convocazione». Attenzione, non è Maria Zakharova né Dmitry Peskov. Non è nemmeno Michele Santoro, che in fondo è un privato cittadino e può dire quello che gli pare. È Giuseppe Conte, ex premier, una delle tre punte della coalizione di sinistra tinta di populismo, che persino nel momento in cui tutta l’Europa, tranne l’Ungheria, in vario modo spinge forte contro il dittatore del Cremlino non rinuncia a giustificare quest’ultimo che, in quanto «vittorioso sul campo» (ma dove?) «ovviamente» ha ragione a non recarsi a Istanbul. Ma che discorsi. Nemmeno Matteo Salvini. Ora, la differenza tra i due è che Salvini è veramente putiniano nell’animo mentre Conte lo è soprattutto per convenienza – il che forse moralmente è pure peggio –, perché razzola nel lugubre campo del pacifismo russofilo, quello travagliesco-orsiniano, al solo fine di raccattare un po’ di voti. 🔗Leggi su Linkiesta.it

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