Contro la paternalistica censura dello spot con Diletta Leotta
Nel dibattito attuale sulla censura pubblicitaria, la decisione del giurì dell'Istituto di autodisciplina pubblicitaria di sospendere lo spot con Diletta Leotta solleva interrogativi sulla paternalistica protezione dei minori. La réclame, accusata di sessualizzare lo sguardo di un bambino, evidenzia un conflitto tra libertà creativa e responsabilità sociale nella comunicazione commerciale.
Il giurì dell’Istituto di autodisciplina pubblicitaria esiste veramente e ha sospeso la messa in onda della réclame di una nota marca da scarpe da lavoro, per intenderci quella con DilettaLeotta, poiché sessualizza lo sguardo di un bambino: vi appare infatti un frugolo di sette od otto anni che resta a bocca aperta davanti a una cantante in minigonna. Se pure il voice over si limitava a un innocente “la prima volta che sei rimasto senza parole”, di cui penso chiunque di noi possa fornire analoga testimonianza attorno a quell’età, implacabile si è abbattuta sulla nuance erotica la mannaia del moralismo da gruppo whatsapp delle mamme in servizio permanente effettivo. Certo, mai avrei creduto che il giurì dell’Istituto di autodisciplina pubblicitaria fosse un così avido lettore di Michel Foucault, secondo il quale si può praticare un efficace Controllo sociale facendo schiacciare la sessualità infantile dalla pedagogia, armata di ditino alzato per significare che quelle cosacce non si fanno e pronta a privare l’istinto di ogni aspetto connesso al piacere. 🔗Leggi su Ilfoglio.it

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