Conti pubblici e crescita: l'Italia convince mercati e Ue, resta il nodo sviluppo

L’Italia riceve giudizi positivi sulla gestione dei #contipubblici da parte di mercati e Ue, ma le prospettive di crescita per il 2025 restano deboli, con una stima dell’1% circa.

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L’Italia chiude l’anno con un giudizio favorevole da parte degli investitori e delle istituzioni europee sulla gestione della finanza pubblica e sulla continuità dell’azione di governo, ma con prospettive di crescita più deboli del previsto. La stima per il 2025 si ferma allo 0,5%, un valore nettamente inferiore rispetto alle attese formulate dodici mesi prima, in un contesto globale segnato da forti elementi di instabilità.

A incidere sull’andamento dell’economia sono stati fattori esterni, come le tensioni commerciali legate ai dazi statunitensi, i conflitti ancora in corso e l’incertezza che ne è derivata sui mercati finanziari. A questi si sono aggiunti elementi interni: il percorso di consolidamento fiscale, necessario per rafforzare la sostenibilità dei conti, ha contribuito a rallentare l’espansione del Pil, comprimendo la spesa in deficit.

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Il livello del debito pubblico, superiore al 136% del Pil, risente ancora dell’impatto del Superbonus, i cui effetti continueranno a riflettersi sui conti per diversi anni. Proprio questa eredità ha reso inevitabile una stretta di bilancio che, tuttavia, ha rafforzato la credibilità del Paese. Lo dimostra uno spread ai minimi dal 2009, intorno ai 70 punti base, con un beneficio diretto sulla spesa per interessi.

La scelta di anticipare già a quest’anno il rientro del deficit sotto la soglia del 3%, anziché rinviarlo al 2026, ha trovato riscontro positivo anche nelle valutazioni delle agenzie di rating. Nell’arco di pochi mesi Moody’s ha migliorato il giudizio portandolo a Baa2, Dbrs ha ricollocato l’Italia nella categoria A e Fitch aveva già rivisto il rating a BBB+. Segnali rilevanti per un Paese che deve rifinanziare un debito pubblico che, in valore assoluto, ha superato i 3.131 miliardi di euro.

Sul fronte europeo, l’Italia ottiene un risultato significativo: da osservata speciale diventa un riferimento per il controllo dei conti. Il deficit, indicato nel Documento programmatico di bilancio al 3%, è atteso scendere sotto tale soglia, consentendo la chiusura della procedura Ue in primavera. Le previsioni indicano poi un calo progressivo al 2,8% nel 2026, al 2,6% nel 2027 e al 2,3% nel 2028.

Anche il rapporto debito/Pil mostra segnali di stabilizzazione. Dopo il 136,2% previsto per il 2025 e il 137,4% nel 2026, le stime indicano un’inversione di tendenza a partire dal 2027, con una graduale riduzione fino al 136,4% nel 2028, nonostante il peso delle misure straordinarie ereditate dal passato.

Il rallentamento dell’economia appare evidente nel confronto con le precedenti previsioni: la crescita stimata per il 2025 è più che dimezzata rispetto all’1,2% ipotizzato nel Piano strutturale di bilancio di settembre 2024. Alla base di questa revisione pesano soprattutto le incertezze legate alle politiche commerciali statunitensi e agli effetti persistenti delle crisi geopolitiche.

Guardando al medio periodo, la sfida principale per l’Italia e per l’area euro è la revisione del modello di sviluppo, con un maggiore contributo dei consumi interni rispetto all’export. Il quadro europeo resta fragile: la Germania archivia il 2025 con una crescita marginale dopo la recessione, mentre la Francia continua a fare i conti con instabilità politica e un debito in forte aumento.

Il graduale allentamento delle tensioni sui dazi potrebbe sostenere il commercio internazionale, mentre l’Italia guarda anche a nuovi mercati di sbocco, dall’America Latina all’Asia passando per gli Emirati. Le previsioni indicano una crescita dello 0,7% nel biennio 2026-2027 e un’accelerazione allo 0,8% nel 2028, sostenuta da investimenti e domanda interna.

Un ruolo rilevante sarà giocato anche dall’effetto degli investimenti legati al Pnrr. La legge di bilancio da 22 miliardi di euro, pur inserita in un contesto di rigore, punta a rafforzare le basi della crescita attraverso misure mirate. Tra queste, il taglio della seconda aliquota Irpef dal 35% al 33% per i redditi medi, il pacchetto di incentivi per le imprese con super ammortamenti e risorse per Transizione 4.0 e Zes, oltre agli interventi sul lavoro con agevolazioni sugli aumenti contrattuali per i redditi più bassi.