Influenza aviaria e rischio pandemia: diffusione globale e allerta sanitaria
L’influenza aviaria rappresenta una preoccupazione crescente a livello globale, con un potenziale rischio di evoluzione in una pandemia. Questo virus, trasmesso dagli uccelli migratori, ha mostrato una notevole diffusione negli ultimi anni. Le autorità sanitarie europee segnalano un aumento dei casi del ceppo A (H5N1), evidenziando l’importanza di monitorare attentamente la situazione per prevenire eventuali conseguenze sulla salute pubblica.
Un nuovo scenario pandemico potrebbe avere origine dalla fauna selvatica. L’attenzione di virologi ed epidemiologi internazionali è da tempo concentrata sull’influenza aviaria, un virus influenzale che viaggia con gli uccelli migratori e che negli ultimi anni ha mostrato una capacità di diffusione senza precedenti. Gli organismi sanitari europei segnalano un incremento marcato dei casi di ceppo A (H5N1) tra volatili selvatici e allevamenti, un fenomeno che amplia le occasioni di contatto con l’uomo e aumenta il rischio di adattamento del virus a nuovi ospiti.
Secondo le analisi del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, l’attuale circolazione del virus tra le popolazioni aviarie rappresenta un campanello d’allarme. La lezione lasciata dalla pandemia di Covid-19 ha rafforzato la consapevolezza della necessità di sistemi di sorveglianza più tempestivi e coordinati, in grado di intercettare per tempo le minacce emergenti.
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La diffusione geografica dell’H5N1 è oggi definita dagli esperti come una vera panzoozia, l’equivalente animale di una pandemia umana. Il virus, inizialmente confinato a determinate rotte migratorie, si è progressivamente adattato agli uccelli selvatici, riuscendo a raggiungere tutti i continenti e ambienti climatici molto diversi tra loro, dalle regioni polari alle zone aride.
L’influenza aviaria è una patologia che colpisce principalmente i volatili, ma l’attuale ceppo H5N1 ha dimostrato una notevole capacità di trasmissione agli animali allevati, come polli, tacchini e galline ovaiole. Più recentemente sono stati osservati casi in diversi mammiferi, con episodi di salto di specie che destano particolare attenzione per le possibili implicazioni sulla salute umana.
In Italia il monitoraggio resta costante. I ceppi oggi in circolazione non presentano caratteristiche tali da renderli altamente pericolosi per l’uomo, ma la presenza del virus tra gli uccelli selvatici continua a rappresentare una minaccia per il comparto avicolo. Nel periodo stagionale di maggiore incidenza, si registrano focolai localizzati che vengono gestiti attraverso protocolli di contenimento rigorosi.
La prevenzione inizia mesi prima della stagione a rischio, in coincidenza con l’arrivo degli uccelli migratori. Le strategie prevedono una collaborazione strutturata tra autorità sanitarie, regioni e aziende avicole, con regole precise sugli accasamenti, riduzione della densità degli allevamenti e misure di biosicurezza per limitare il contatto con la fauna selvatica.
Il Piano nazionale di sorveglianza stabilisce controlli intensivi nelle aree a maggiore vocazione avicola, con prelievi periodici negli allevamenti. In caso di rilevamento del virus, scattano verifiche straordinarie negli stabilimenti vicini e l’applicazione delle norme europee, che includono l’abbattimento degli animali infetti e la distruzione dei prodotti potenzialmente contaminati per tutelare la filiera alimentare.
Un ruolo centrale è svolto dalla collaborazione tra allevatori e veterinari. La formazione continua e la segnalazione tempestiva di qualsiasi anomalia consentono alle autorità sanitarie di intervenire rapidamente, bloccando la diffusione del virus nelle prime fasi.
Il rischio per l’uomo è attualmente considerato basso dalle organizzazioni internazionali, ma resta sotto osservazione. Oltre agli uccelli, la sorveglianza si estende ad altre specie animali e alle persone professionalmente esposte, come operatori degli allevamenti, sottoposti a controlli sanitari mirati.
La disponibilità di vaccini contro l’influenza aviaria rappresenta uno degli strumenti più importanti per contenere le epidemie animali. Sviluppati principalmente per l’uso veterinario, possono ridurre l’impatto del virus negli allevamenti. L’Unione Europea ha inoltre previsto la possibilità per gli Stati membri di dotarsi di dosi destinate alla protezione delle categorie umane a maggiore rischio di esposizione al ceppo H5.