Riforma Elettorale in Italia: Scontri, intese e la lunga corsa al sistema perfetto

riforma elettorale

La storia delle riforme elettorali nell’Italia repubblicana comincia nel segno della tensione. Durante la seduta al Senato sulla cosiddetta legge truffa, la riforma voluta da Alcide De Gasperi nel 1953, l’onorevole Ruini viene colpito alla testa da una tavoletta lanciata dai banchi dell’estrema sinistra. Un episodio che racconta bene quanto sia complesso, e spesso doloroso, cambiare le regole del voto.

La legge truffa, pensata per garantire piena governabilità alla Democrazia Cristiana, non ottiene il risultato sperato: lo Scudo crociato si ferma al 49,85% e perde il premio di maggioranza. La norma viene cancellata già nel 1954, accolta dal titolo trionfante dell’Unità: “La volontà del popolo ha vinto!”. Da quel momento prende forma una lunga stagione di confronti, trattative e tentativi di trovare il “sistema perfetto”.

Il proporzionale puro regge fino al 1993, quando entra in scena il Mattarellum, la legge firmata da Sergio Mattarella. Dopo i referendum e il complicato mix di sistemi che si era formato, la nuova norma viene approvata senza fiducia da un fronte trasversale. Non senza critiche: Marco Pannella accusa il modello di “tradire lo spirito del referendum”, mantenendo la tradizionale posizione controcorrente.

Il Mattarellum introduce un impianto misto con il 75% dei seggi attribuiti in collegi uninominali e il resto con metodo proporzionale. L’obiettivo è incentivare il bipolarismo, e ci riesce: sulla scena politica emergono due protagonisti destinati a segnare un’epoca, Silvio Berlusconi e Romano Prodi.

Nel 2005 il Mattarellum viene sostituito dal Porcellum. Lo approvano Fi, An, Udc e Lega; l’Unione resta fuori. Alla base della riforma, scritta dal leghista Roberto Calderoli, c’è l’avversione di Berlusconi per i collegi uninominali, considerati troppo favorevoli ai candidati “di sinistra”. Il sistema torna al proporzionale, con un premio di maggioranza e senza preferenze. Lascia in eredità maggioranze strette al Senato, come quella di 158 a 156 nel 2006, segnata dal voto del “senador” Luigi Pallaro.

Nel 2013 la Corte costituzionale boccia parte del Porcellum, aprendo la strada all’Italicum, la riforma dell’era Matteo Renzi. Il progetto prevede un proporzionale con sbarramento al 3% e premio al 40%, pensato solo per la Camera. Il Senato, nel disegno renziano, doveva diventare una camera di secondo grado. Il referendum costituzionale ne affonda l’impianto, ma intanto la legge elettorale viene approvata e poi, a sua volta, corretta dalla Consulta.

L’ultima tappa del percorso è il Rosatellum, varato nel 2017 con un ampio ma faticoso consenso parlamentare. Un sistema misto che suscita l’opposizione del Movimento 5 Stelle, convinto che favorisca le coalizioni tradizionali e penalizzi chi rifiuta alleanze. Pochi mesi dopo, proprio il M5s arriva al governo.

Oggi il cantiere delle riforme riapre ancora, con Giorgia Meloni ed Elly Schlein indicate come protagoniste di una nuova possibile intesa sulle regole del voto. Una storia che continua a ripetersi, tra scontri, equilibri fragili e l’eterna ricerca del modello ideale.