Bodybuilding femminile e salute del cuore: lo studio italiano che lancia l'allarme

Il bodybuilding femminile finisce sotto la lente della ricerca medica. Un nuovo studio dell’Università di Padova mette in evidenza rischi finora sottovalutati per le atlete che praticano questa disciplina, soprattutto a livello competitivo. L’indagine segnala una possibile correlazione tra l’uso di sostanze dopanti, allenamenti estremi e un aumento dei casi di morte cardiaca improvvisa tra le sportive.
La ricerca, intitolata “Mortality in female bodybuilding athletes” e pubblicata sull’European Heart Journal, rivista ufficiale della Società Europea di Cardiologia, ha analizzato oltre 9.000 atlete che hanno partecipato a competizioni IFBB (International Federation of Bodybuilding and Fitness) tra il 2005 e il 2020. Sono stati documentati 32 decessi confermati, di cui più del 30% attribuiti a cause cardiovascolari.
“Dopo lo studio sui bodybuilder maschi, era necessario esaminare anche l’universo femminile”, spiega Marco Vecchiato, medico dello sport e primo autore della ricerca. “I dati mostrano che, sebbene i numeri siano inferiori, le atlete donne presentano un tasso di morte cardiaca improvvisa sorprendentemente alto per soggetti giovani e in apparenza sani, soprattutto tra le professioniste”.
Vecchiato evidenzia come l’estremizzazione dell’allenamento, l’abuso di doping e le tecniche di preparazione possano rappresentare un serio pericolo per la salute, indipendentemente dal sesso. “L’incidenza di morte improvvisa tra le professioniste resta molto alta rispetto ad altri sport”, aggiunge, sottolineando la necessità di un approccio più equilibrato.
Oltre ai rischi cardiaci, lo studio ha registrato anche un’elevata percentuale di decessi per cause traumatiche, tra cui suicidi e omicidi. Un dato che, secondo i ricercatori, riflette un impatto psicologico e sociale significativo legato alle pressioni estetiche e alle aspettative di performance. “In una disciplina in cui il corpo femminile è costantemente sotto giudizio, è essenziale considerare anche la salute mentale”, sottolinea Vecchiato.
La raccolta dei dati si è basata su una ricerca sistematica multilingue che ha incrociato fonti ufficiali e non ufficiali, referti autoptici, rapporti tossicologici, articoli di stampa e contenuti diffusi sui social network. I risultati hanno confermato un quadro complesso, dove la ricerca della perfezione fisica può degenerare in pratiche dannose.
“Il bodybuilding non è di per sé pericoloso, ma la combinazione di pratiche estreme, obiettivi estetici irrealistici e uso di sostanze dopanti può renderlo un’attività ad alto rischio”, avvertono i ricercatori. Serve maggiore consapevolezza, insieme a programmi di prevenzione cardiologica e psicologica rivolti anche alle atlete.
“Occorre un cambiamento culturale che metta la salute prima della performance”, conclude Vecchiato. “Un principio valido per tutti gli sportivi, ma particolarmente urgente nel bodybuilding femminile, dove i rischi possono essere più nascosti, ma non meno gravi”.