Giornata lavorativa di 13 ore in Grecia: approvata la legge tra proteste e scioperi

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Il Parlamento greco ha approvato la controversa riforma del lavoro che introduce la possibilità di una giornata lavorativa di 13 ore. Dopo due giorni di intenso dibattito, la legge proposta dal governo di centrodestra guidato da Kyriakos Mitsotakis è passata con i voti del partito di maggioranza Nea Democratia, mentre l’opposizione ha scelto di non partecipare al voto.

Il portavoce di Syriza, Christos Giannoulis, ha definito il provvedimento “una mostruosità legislativa, un attacco ai diritti fondamentali”. Anche Nikos Androulakis, leader del Pasok, ha duramente criticato la misura, descrivendola come “l’ultimo anello di una catena di smantellamento metodico dei diritti dei lavoratori”.

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La reazione dei sindacati greci è stata altrettanto ferma: sono stati convocati due scioperi generali, il primo martedì scorso e il secondo previsto per il primo ottobre. Le manifestazioni hanno paralizzato il Paese, denunciando la riforma come “una misura degna del Medioevo”.

Il governo difende la legge sostenendo che la giornata lavorativa di 13 ore è facoltativa e si applica esclusivamente al settore privato, per un massimo di 37 giorni all’anno. In cambio, è previsto un aumento salariale del 40%. La norma consente di concentrare più ore presso un unico datore di lavoro, mentre in precedenza era possibile solo combinando impieghi diversi.

Secondo i dati Eurostat, la Grecia è già tra i Paesi europei con il carico di lavoro più elevato: in media 39,8 ore settimanali contro le 35,8 della media dell’Unione Europea. Nel secondo trimestre del 2025, il 20,9% dei lavoratori greci tra i 20 e i 64 anni ha lavorato oltre 45 ore a settimana, rispetto al 10,8% registrato nel resto della UE.

Per la Confederazione dei lavoratori greci, la nuova norma rappresenta “un ulteriore aggravamento di una situazione già profondamente problematica”. I sindacati sottolineano inoltre che la presunta “volontarietà” della misura è relativa, poiché molti lavoratori non avranno la reale possibilità di rifiutarsi, soprattutto in un mercato del lavoro segnato da precariato e rapporti di forza sbilanciati a favore dei datori.