Netanyahu sotto accusa: primo premier israeliano incriminato e la richiesta di grazia di Trump

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Benjamin Netanyahu, primo ministro in carica di Israele, è il primo premier nella storia del Paese a essere formalmente incriminato mentre ricopre la carica. Le accuse risalgono al 2019 e riguardano tre distinti casi di corruzione, frode e abuso d’ufficio, che secondo la magistratura sarebbero legati da un filo comune. Netanyahu ha sempre respinto ogni accusa, dichiarandosi “non colpevole” e definendo il procedimento “una caccia alle streghe” orchestrata dalla sinistra.

Mercoledì il premier dovrà testimoniare davanti al tribunale distrettuale di Gerusalemme, dopo che i giudici hanno respinto la sua richiesta di rinviare l’udienza per presunti “incontri diplomatici urgenti”, tra cui uno con il presidente cipriota Nikos Christodoulides. La seduta, già posticipata per la festività ebraica di Sukkot, non subirà ulteriori rinvii.

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Nel caso 1000, Netanyahu e la moglie Sara sono accusati di aver ricevuto regali di lusso — sigari, champagne e gioielli — per un valore complessivo superiore a 260 mila dollari da parte di facoltosi imprenditori in cambio di favori politici. È proprio a questo caso che si è riferito l’ex presidente americano Donald Trump, intervenendo alla Knesset e rivolgendosi al presidente israeliano Isaac Herzog: “Ho un’idea. Signor presidente, perché non gli concede la grazia? Sigari e un po’ di champagne, chi se ne importa”.

Già nei mesi scorsi Trump aveva scritto su Truth Social che il processo a Netanyahu doveva essere “annullato immediatamente” o che al premier andasse “concessa la grazia a un grande eroe”. Dichiarazioni che avevano suscitato la reazione del leader dell’opposizione Yair Lapid, secondo cui l’ex presidente statunitense “non dovrebbe interferire nei procedimenti giudiziari di un Paese indipendente”.

Nel caso 4000, l’accusa sostiene che Netanyahu abbia approvato regolamenti favorevoli per centinaia di milioni di dollari alla compagnia di telecomunicazioni Bezeq, ottenendo in cambio una copertura mediatica positiva dal sito Walla, controllato dal magnate Shaul Elovitch, principale azionista di Bezeq.

Nel caso 2000, invece, il premier avrebbe cercato di ottenere articoli favorevoli sul quotidiano Yedioth Ahronot in cambio di misure dannose per una testata concorrente. Il processo, iniziato nel maggio 2020, si è protratto per anni anche a causa delle numerose tattiche dilatorie adottate dalla difesa. Secondo l’ex capo dell’agenzia di sicurezza interna israeliana, Netanyahu avrebbe tentato di usare il proprio potere esecutivo per rallentare l’iter giudiziario.

La legge israeliana non impone al premier incriminato di dimettersi finché non sia emessa una condanna definitiva. Durante l’attuale mandato, iniziato alla fine del 2022, Netanyahu ha promosso una riforma giudiziaria molto contestata, accusata da parte dell’opinione pubblica di voler indebolire il potere dei tribunali. Le proteste di massa scoppiate nel Paese si sono interrotte solo con l’inizio del conflitto a Gaza.

Il premier è inoltre oggetto di un mandato d’arresto della Corte Penale Internazionale (CPI) per presunti crimini di guerra legati all’offensiva israeliana contro Hamas. In un post su Truth Social, Trump ha nuovamente definito i procedimenti contro Netanyahu una “caccia alle streghe politica”, paragonandoli alle indagini subite durante il proprio mandato presidenziale e accusando i suoi avversari di usare la giustizia come strumento di persecuzione politica.