Ricostruzione di Gaza: servono anni e miliardi per far ripartire la Striscia dopo il cessate il fuoco
Il cessate il fuoco a Gaza, se davvero aprirà la strada a una pace stabile con Israele, riporta al centro dell’attenzione il tema della ricostruzione. Accanto alle ipotesi politiche ancora tutte da verificare, emergono le prime stime sui danni causati da due anni di guerra e sulle risorse necessarie per restituire alla popolazione case, infrastrutture e una vita sociale ed economica oggi completamente distrutte.
Le cifre sono per ora approssimative e dovranno essere confermate sul campo, quando la Striscia diventerà un territorio realmente libero da operazioni militari e sarà chiaro quanta autonomia avrà la popolazione e quali aiuti internazionali potranno arrivare. Si parte dall’accordo appena firmato da Israele e Hamas: al ritiro, inizialmente parziale, delle forze israeliane dovranno seguire le operazioni di rimozione delle macerie.
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Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (Unep), a Gaza si sono accumulati circa 61 milioni di tonnellate di detriti e sono stati distrutti, totalmente o in parte, almeno 250mila edifici. La rimozione potrebbe richiedere decenni, anche per la presenza di migliaia di corpi sotto le rovine e di ordigni inesplosi. Il solo smaltimento delle macerie supererebbe il miliardo di dollari.
Questo processo dovrà procedere insieme alla ricostruzione. I numeri delineano un quadro drammatico: il 90% delle abitazioni è distrutto o inagibile, il 94% degli ospedali è fuori uso, l’86% dei campi agricoli è inutilizzabile, mentre il 77% delle scuole e il 65% delle strade dovranno essere rifatti completamente.
Stimare il costo complessivo è quasi impossibile. Le previsioni della Banca Mondiale, aggiornate a febbraio 2025, parlano di un fabbisogno superiore a 50 miliardi di dollari. Ma la cifra reale potrebbe essere molto più alta, considerando l’estensione dei danni e la complessità delle operazioni da svolgere in un contesto ancora instabile.
Il futuro di Gaza dipenderà anche dalla capacità della comunità internazionale di partecipare attivamente alla ricostruzione. Tutto sarà legato alle scelte politiche che verranno fatte, ai ruoli concessi alle autorità palestinesi e alle concessioni di Israele, oltre che agli interessi degli Stati Uniti. Donald Trump ha già annunciato un piano di incentivi e dazi ridotti per chi investirà nella Striscia, ma il quadro resta estremamente complesso.
Anche l’Italia si prepara a dare il proprio contributo. La premier Giorgia Meloni ha dichiarato: “Se ci verrà chiesto un contributo, siamo pronti a stare in prima linea. Il lavoro sarà lungo e dovrà coinvolgere tutta la comunità internazionale”. Sulla stessa linea, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha aggiunto che l’Italia è pronta a partecipare alla ricostruzione di Gaza, all’invio di nuovi aiuti umanitari e, se necessario, anche a una forza internazionale di pace per la riunificazione della Palestina.
Molto dipenderà dalle condizioni poste per il processo di pace: il disarmo di Hamas, la sospensione degli insediamenti in Cisgiordania e una riforma dell’Autorità nazionale palestinese. Solo con questi passaggi sarà possibile parlare davvero di una ricostruzione concreta e duratura per Gaza.