Marte, scoperta la presenza di ghiaccio superficiale a medie latitudini

marte scoperta

Sulla superficie di Marte è stato individuato ghiaccio a medie latitudini. La scoperta arriva da uno studio pubblicato sulla rivista Remote Sensing e condotto da un team guidato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, in collaborazione con il DiceM dell’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale, l’Università d’Annunzio, l’Inaf e la University of Mississippi.

Le osservazioni si sono concentrate nella regione di Ismenius Lacus, dove sono state rilevate strutture morfologiche compatibili con lingue glaciali superficiali simili a quelle dei ghiacciai terrestri. A differenza di quanto avviene sulla Terra, però, il ghiaccio marziano non deriva da nevicate, ma sembra originarsi dalla fusione parziale del permafrost sotterraneo.

Leggi anche Marte, la scoperta della Nasa: possibili tracce di vita nelle rocce raccolte da Perseverance

L’uso combinato di immagini ad altissima risoluzione e di uno stereoscopio digitale ci ha consentito di osservare in 3D caratteristiche compatibili con fenomeni di scivolamento del ghiaccio superficiale che finora erano solo ipotizzati”, spiega Marco Moro, ricercatore Ingv.

L’analisi geomorfologica ha messo in luce strutture riconducibili al flusso plastico del ghiaccio, come corpi geometrici dalle forme spigolose, strutture a spina di pesce, fratture distintive e canali con falsi meandri. Elementi che confermano lo scivolamento recente di ghiaccio marziano e non processi fluviali antichi, come si era creduto in passato.

I dati climatici satellitari rafforzano questa interpretazione, mostrando la stabilità del ghiaccio per l’intero anno e una parziale fusione estiva, in linea con le osservazioni effettuate sul campo.

Questi risultati ci permettono di comprendere meglio la distribuzione e le dinamiche del ghiaccio su Marte, fornendo strumenti preziosi per le missioni scientifiche future e per il monitoraggio del pianeta”, sottolinea Adriano Nardi, ricercatore Ingv.

Lo studio evidenzia il ruolo dell’Ingv nella ricerca planetaria, grazie a un approccio che integra dati raccolti da orbiter e rover con analisi geomorfologiche e modelli tridimensionali, aprendo nuove prospettive sulla presenza e sul comportamento dell’acqua nello spazio.