Mers, 9 nuovi casi e 2 morti in Arabia Saudita: l'Oms conferma rischio moderato
La Mers riemerge prepotentemente in Arabia Saudita, destando preoccupazione. Con 9 nuovi casi e 2 decessi registrati in pochi mesi, l'Organizzazione Mondiale della Salute ha valutato il rischio come moderato. Scopriamo insieme i dettagli di questa allerta sanitaria e le implicazioni per la salute pubblica.

La Mers torna a far parlare di sé con nuove infezioni segnalate in Arabia Saudita. Tra il 1 marzo e il 21 aprile sono stati registrati 9 casi di sindrome respiratoria mediorientale da Coronavirus, inclusi 2 decessi. La segnalazione è arrivata dal Ministero della Salute saudita all’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), che ha emesso un aggiornamento ufficiale sul rischio, confermando che resta moderato sia a livello globale che regionale.
Focolaio a Riyadh e trasmissione tra operatori sanitari
Sette dei nove casi fanno parte di un focolaio identificato a Riyadh, dove sei operatori sanitari hanno contratto il virus dopo aver assistito un paziente infetto. L’individuazione è avvenuta attraverso il tracciamento dei contatti, seguito da test diagnostici. Quattro operatori erano asintomatici, mentre due presentavano sintomi lievi e generici.
Un altro caso risulta legato a un contatto indiretto con cammelli, mentre gli altri pazienti non avevano esposizioni note ad animali o prodotti derivati.
Oms: il virus resta una minaccia nei Paesi con presenza di dromedari
Dalla prima identificazione della Mers nel 2012, sono stati segnalati all’Oms 2.627 casi confermati in laboratorio da 27 Paesi, con 946 decessi attribuiti (tasso di mortalità stimato al 36%). L’Arabia Saudita ha riportato la maggioranza assoluta dei casi: 2.218, pari all’84% del totale. Dal 2019 non si registrano infezioni umane da Mers al di fuori del Medio Oriente.
L’Oms ribadisce che la notifica dei nuovi casi non cambia la valutazione generale del rischio, che resta moderato. L’agenzia raccomanda l’attuazione di misure di prevenzione e controllo delle infezioni per evitare la diffusione all’interno delle strutture sanitarie e la trasmissione all’uomo nei Paesi dove il virus è endemico tra i dromedari.