Referendum abrogativi, la sfida del quorum: in 30 anni solo una volta superata la soglia

Caccia a 26 milioni di votanti. È questo l’obiettivo minimo dei promotori dei referendum dell’8 e 9 giugno, quando gli italiani saranno chiamati a esprimersi su quattro quesiti riguardanti il lavoro e uno sulla cittadinanza. Trattandosi di referendum abrogativi, per essere validi è necessario raggiungere il quorum: deve votare il 50% più uno degli aventi diritto, ovvero circa 26 milioni su un totale di 51 milioni di elettori.
Una storia lunga 78 votazioni: solo 39 i referendum validi
Dal 1946 ad oggi, in Italia si sono svolte 78 consultazioni referendarie, di cui 72 abrogative. Con i cinque quesiti del prossimo giugno, si arriverà a quota 83. Solo 39 referendum abrogativi hanno superato il quorum, mentre in 33 casi l’affluenza non è stata sufficiente. Di quei 39 validi, 23 hanno visto prevalere il sì, 16 il no. Il primo e più celebre fu quello del 1974 sul divorzio, promosso dal mondo cattolico contro la legge Fortuna-Baslini, in vigore dal 1970. Con una partecipazione dell’87,7% e la vittoria del no, quel voto entrò nella storia.
Indicativo è il trend del quorum. Dal 1974 al 1995, fatta eccezione per il referendum sulla caccia del 1990 (fermo tra il 42% e il 43%), il quorum fu sempre raggiunto. Celebre fu anche il successo del 1991, nonostante l’invito all’astensione di Bettino Craxi: l’affluenza arrivò al 62,5% e il quesito sulla preferenza unica fu approvato con il 95,6% di sì.
Dal 1997 il calo: una sola eccezione in 30 anni
A partire dal 1997, la tendenza si è invertita. Dal referendum sulle carriere dei magistrati fino a quello del 2022 sul Csm, nessun referendum abrogativo ha superato il quorum. Unica eccezione, nel 2011, il referendum sull'acqua pubblica che raggiunse il 54,8% di affluenza. Da allora, il mal di quorum è diventato la regola.
Tra i referendum con maggiore affluenza figurano, oltre a quello sul divorzio, il quesito del 1978 sul finanziamento pubblico ai partiti (81,2%), quelli del 1981 su aborto e leggi antiterrorismo (79,4%), quello del 1985 sulla scala mobile (77,9%) e quello del 1993, ancora sul finanziamento ai partiti (77%).
All’opposto, i dati più bassi riguardano i referendum del 2022 su Csm e magistratura (20%), del 2009 sul premio di maggioranza (23,3%), quelli del 2003 (articolo 18) e 2005 (fecondazione assistita) entrambi al 25,5%, e il 1997 al 30,2%.
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