Il modello australiano è una risposta nazionale a problemi globali

L'esempio australiano di vietare i social agli under 16 evidenzia le difficoltà di affrontare problemi globali con soluzioni nazionali. Questa iniziativa, più orientata al consenso dei genitori che alla reale tutela dei giovani, ha mostrato limiti e inefficacia, sollevando questioni sulla reale efficacia delle politiche restrittive in un mondo sempre più connesso.

Come ampiamente previsto – e financo scritto su queste pagine – vietare i social agli under 16 in un singolo Paese come ha fatto l’Australia si è rivelato un epic fail da boomer: un’iniziativa messa in campo da chi parla di teenager e tecnologia senza conoscere gli uni e l’altra, cercava più il consenso dei genitori che la sicurezza dei loro figli. Salutata un po’ frettolosamente come nuovo modello mondiale da esportazione e multe fino a 50 milioni di dollari per le piattaforme, si è schiantata contro la realtà come un fax contro un firewall. Il Parlamento di Canberra pensava davvero che un sedicenne australiano, cresciuto con uno smartphone in mano, non sappia cosa sia una VPN? Che non possa mentire sulla propria età? Che non migrerà su piattaforme meno controllabili, magari ospitate in giurisdizioni esotiche dove nessuna autorità occidentale potrà mai arrivare? Il divieto creerà – e forse lo sta già facendo – esattamente quello che ogni proibizionismo crea: un mercato parallelo, meno trasparente, meno controllabile, dove i ragazzi saranno ancora più esposti ai rischi che si volevano evitare. 🔗 Leggi su Ilfoglio.it

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