Il caso Salis e la malafede di destra e sinistra sull’autorizzazione a procedere

Il Parlamento italiano nel 1993 rottamò a furor di popolo l’articolo 68 della Costituzione, cancellando la disposizione che subordinava l’avvio e la prosecuzione di procedimenti penali contro deputati e senatori all’autorizzazione della camera di appartenenza. L’unica autorizzazione rimasta oggi riguarda perquisizioni domiciliari e personali e l’applicazione di misure cautelari (tipicamente la carcerazione preventiva). Non casualmente a prendere questa decisione furono legislatori sotto scacco delle piazze, delle procure e del Quirinale di Oscar Luigi Scalfaro, molti dei quali, in particolare nelle file della maggioranza pentapartitica, inseguiti da avvisi da garanzia, privi di possibilitĂ  di rielezione, atterriti dalla prospettiva della galera e interessati a guadagnare benemerenze presso i pm e giudici da cui Quel voto praticamente unanime unì due atteggiamenti diversamente opportunistici: quello delle opposizioni di sinistra, convinte che la grancassa contro l’impunitĂ  dei politici le avrebbe portate in carrozza al potere e che l’abolizione dell’articolo 68 sarebbe stato il viatico del regime change e quello di partiti di maggioranza destinati alla sconfitta, se non alla disgregazione (accadde di peggio: la dissoluzione) e quindi persuasi che una siffatta garanzia sarebbe stata ormai per loro sostanzialmente inutile, e che non valesse la pena difenderla a beneficio di altri. 🔗 Leggi su Linkiesta.it

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