Un Montale ironico scettico e incredibilmente aperto al sacro mistero
Un montale ironico, scettico e incredibilmente aperto al sacro mistero: così emerge la sua poetica, un viaggio tra limoni, corni inglesi e girasoli di luce. A cento anni dalla pubblicazione di "Ossi di seppia", il suo stile unico continua a sfidare interpretazioni, svelando un universo in cui l’oggetto diventa messaggero di un enigma più grande. Un’ulteriorità che invita ancora oggi a riflettere sul senso profondo della vita e della poesia.
Nel giugno 1925 Eugenio Montale pubblicava presso le edizioni di Piero Gobetti la sua prima silloge, Ossi di seppia. A distanza di cento anni critici, lettori, professori e studenti di tutte le età sono ancora alle prese con limoni, corni inglesi, cocci aguzzi di bottiglia, girasoli impazziti di luce. La cosiddetta “poetica degli oggetti” ha sempre sotteso in Montale un’ulteriorità di difficile interpretazione: un tu, un destinatario ultimo, un mosaico di identità a cui l’io, errante, tende costantemente. Questo vale per l’intera parabola lirica dell’autore genovese, dalla silloge d’esordio sino all’ultima (se consideriamo gli Altri versi e le Poesie disperse purissime appendici dell’Opera in versi, Einaudi 1980): e cioè Quaderno di quattro anni, appena ristampato nello “Specchio” Mondadori (commento di Alberto Bertoni e Guido Mattia Gallerani, con saggi di Cesare Garboli e Giorgio Orelli, 480 pp. 🔗 Leggi su Ilfoglio.it
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