Tutti i motivi che mi impediscono di chiamare genocidio quello a Gaza

Il dibattito sul termine "genocidio" in relazione alla situazione a Gaza è più che mai attuale. Le parole di Anna Foa, esperta storica, ci invitano a riflettere su una crisi umanitaria che sfida le convenzioni del linguaggio e della morale. In un mondo sempre più polarizzato, il modo in cui definiamo le atrocità ha implicazioni enormi. È tempo di confrontarsi con la realtà dei fatti e non restare indifferenti. La storia si sta scrivendo adesso.

Anna Foa ha detto martedì a Repubblica: “Io la parola genocidio finora non l’ho usata, ma quello che vediamo penso che ci si avvicini molto. Stiamo andando nella direzione di una pulizia etnica”.  Per qualunque altra situazione simile a quella che via via è diventata la reazione del governo e dell’esercito israeliano all’assalto di Hamas, io avrei senz’altro impiegato il nome di genocidio. Perché non l’abbia fatto è una buona parte della questione. Paolo Mieli ha detto che quanto a lui il nome di genocidio va sventato, perché implica l’assimilazione con la Shoah. Non è così. Lo sarebbe per chi facesse coincidere la cosiddetta unicità della Shoah con la nozione di genocidio, e vedrebbe dunque una dissacrazione nel suo ulteriore impiego. 🔗 Leggi su Ilfoglio.it

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