La grande illusione | perché i festival servono ancora ma non a quello che pensi
Nei giorni che precedono il mio diciannovesimo Festival di Cannes, ritorna puntuale la domanda: “Ma servono ancora i festival?”. Un interrogativo legittimo che attraversa non solo il pubblico da lontano, ma persino chi vive l’evento da vicino. Da giornalista, ho imparato che il valore dei festival va oltre le aspettative superficiali. Scopriamo insieme perché.
Sono a Cannes per la diciannovesima volta. E ogni volta, puntualmente, nei giorni prima di partire, arriva la stessa domanda: “Ma servonoancora i festival?”. Una domanda legittima, che si insinua non solo tra chi li guarda da lontano, ma anche tra chi li vive da dentro, ogni anno. Da giornalista, da critico, da semplice spettatore con il badge al collo e la sveglia all’alba per accaparrarsi un posto in proiezione.Per molto tempo ho sempre risposto a chi me lo chiedeva – a partire dal mio ex editore, che ogni anno avrebbe voluto tagliare il budget eventi e trasferte – che partecipare a un festival internazionale come Cannes, Venezia o Berlino equivale a un vero e proprio “corso di aggiornamento” per chiunque scriva o si occupi di cinema. E questo rimane certamente vero, anche oggi. Così com’è vero che, da un punto di vista editoriale, seguire un festival così importante ti permette di conoscere in anticipo i film (e gli attori e registi) più premiati e chiacchierati dei mesi successivi. 🔗Leggi su Screenworld.it

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Di Giovanbattista Trebisacce, Professore di Pedagogia generale Università degli studi di Catania e Socio AIDR.