Giorgia Trump lo spettro dell’autismo e altre storie di slittamenti semantici

In principio fu “spettro”. Non nei sensi antichi in cui eravamo abituati a usarlo: non come fantasma formaggino o come antibiotico a largo spettro di quelli che ti danno quando hai la cistite e ancora non sono arrivate la analisi che dicano che batterio specifico hai. In principio, le parole terminarono il loro utilizzo sensato su questo pianeta con la sessualità che è uno spettro, l’autismo che è uno spettro.«È uno spettro» significa: sto dicendo una cosa imprecisa. Sto usando una parola, cioè quella cosa che gli umani hanno inventato per dire cose precise (di precise parole, si vive, diceva quello), per dire un concetto che sia largo abbastanza, inesatto abbastanza, generico abbastanza da non voler più dire niente.Una parola che vuol dire tutto, lo sa chiunque non sia Mowgli e non viva nella giungla (ma pure Mowgli ha probabilmente diversi suoni gutturali per cose diverse), è una parola che non serve a granché: non entro da Princi a chiedere del pane, perché ne hanno cento tipi diversi e “pane” non è di nessuna utilità al commesso, non gli sto dicendo cosa mettermi nel sacchetto. 🔗Linkiesta.it
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